7.30.2014

Ecco perché va riaperto il processo di @Chico_Forti su @ilgarantista

Life without parole significa ergastolo senza condizionale, una condanna che di solito viene riservata per efferatissimi crimini o per criminali incalliti. Life without parole è la pena inflitta, ormai 14 anni fa, a Enrico "Chico" Forti da una giuria di Miami dopo un processo durato neanche un mese.

Era il 15 giugno del 2000, quando Forti fu ritenuto colpevole di «aver personalmente e/o con altra persona o persone, ancora ignote, agendo come istigatore e in compartecipazione, ciascuno per la propria condotta partecipata e/o in esecuzione di un comune progetto delittuoso, provocato, dolosamente e preordinatamente, la morte di (certo tal) Dale Pike». Le prove dell`accusa? Zero.


Quello di Chico Forti è solo uno degli oltre 3100 casi di italiani detenuti all'estero. Ogni vicenda fa storia a sé, ci son innocenti, colpevoli, ragazzi, donne e uomini, maltrattati, torturati, persone a volte anche a rischio di pena di morte. Tanti e tali sono i casi, che da sei anni esiste un`associazione che si chiama Prigionieri del silenzio che si batte per portare all`attenzione delle istituzioni e dell'opinione pubblica alcuni tra i casi più eclatanti di questi connazionali incarcerati all`estero.


La sentenza Forti resta però alquanto problematica. Pare impossibile che una giuria abbia potuto ritenere qualcuno colpevole di omicidio "oltre ogni ragionevole dubbio" con prove tanto flebili quanto confuse e che mai, tra l`altro, hanno trovato un riscontro fattuale, anzi! Una successiva dettagliata verifica circa la fondatezza di quelle "prove circostanziali", con ulteriori valutazioni indipendenti, ha prodotto una tale quantità di dubbi che il sospetto che i fatti fossero andati in modo completamente diverso da come furono presentati dall`accusa è divenuto certezza in tutti coloro che hanno partecipato alla ricostruzione degli eventi.


Col passare del tempo, e grazie alle insistenze dei famigliari e di un gruppo sempre crescente di persone preoccupate per la storte di Chico Forti, il caso "Forti" è entrato anche nei palazzi del potere.
All`inizio con lettere private ai ministri degli esteri, poi con interrogazioni parlamentari e infine anche con delle visite nel carcere di Miami - io stesso ho visitato Chico due volte. 11 28 luglio la Camera ha iniziato la discussione di una mozione firmata da tutti i gruppi parlamentari che chiede al governo di facilitare la riapertura del processo. Questione sicuramente delicata ma possibile.


L'incessante e impagabile impegno della famiglia è riuscito a coinvolgere l`ex giudice e parlamentare Ferdinando Imposimato e la criminologa Roberta Bruzzone nell'ampliare la ricostruzione dei fatti, offrendo fondamentali spunti di richiamo alle norme internazionali riconosciute anche dagli Stati Uniti al fine di poter riaprire il processo. Negli anni, nel mio piccolo e assieme al senatore Giacomo Santini, ho cercato di tallonare il governo per avviare quell'attenzione politica che non aveva caratterizzato i predecessori del ministro Giulio Terzi di Sant'Agata. Tanto Emma Bonino che l'attuale ministra non hanno fatto mancare la fattiva attenzione della Farnesina alle sollecitazioni della famiglia Forti.


Roberta Bruzzone ha dato recentemente alle stampe buona parte del suo enorme lavoro di ricostruzione. Il materiale da lei puntigliosamente raccolto nel libro "Il grande abbaglio" sarà fondamentale per il lavoro dell'avvocato Joe Tacopina che ha deciso di farsi carico del tentativo di riapertura del processo. Altrettanto fondamentale, oltre alla raccolta di fondi necessari al collegio di difesa, sarà la partecipazione del governo a quella fase di revisione e, ultimo ma non ultimo, un contatto diplomatico ai massimi livelli con l'amministrazione Obama per aggiornarla sugli sviluppi processuali. 


Non si tratta di sollecitare un sostegno a una campagna innocentista ma di chiedere che giustizia venga fatta sulla base di prove e non illazioni.

Durante la XVI legislatura m'è capitato di visitare decine di carceri in Italia e qualcuno anche in Africa e nei paesi dell'est. Ho ascoltato centinaia di racconti di malagiustizia, maltrattamenti, disperazione umana di ogni genere, mai però m'era capitato di dover andare a trovare un amico, qualche conoscente sì, ma un amico mai. Con Chico, sempre che lui lo voglia, dopo dieci minuti di chiacchiere capisci che hai a che fare con qualcuno che avrebbe potuto esserti amico - e non solo per la comune passione per la vela e il surf.


In carcere Chico Forti lavora senza retribuzione, per buona parte della giornata insegna inglese e cultura generale ai suoi compagni di galera generalmente di origine latino-americana. Non ha mai subito un provvedimento disciplinare, anzi, è un modello di comportamento. È rispettato dai peggiori e dai migliori nonché dalle guardie carcerarie.


Chico Forti era e resta un patito di sport estremi, quello più estremo di tutti si chiama oggi ricerca della verità e della giustizia per se stesso. Si tratta di uno sport che un giorno si potrebbe esser chiamati a praticare anche in prima persona, allenarsi con Chico, dietro le sbarre da oltre 5110 giorni, potrebbe tornar utile anche a noi stessi.

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